In
questi giorni straordinari di campagna e di mobilitazione mi sono
arrivati molti complimenti per l'avventura cui abbiamo dato inizio,
parole di stima che ho molto apprezzato. Ho ricevuto però anche
delle critiche, spesso costruttive, alle quali voglio rispondere per
fare chiarezza su alcune cose che ritengo importanti. In particolare,
qualcuno mi ha ricordato l'esperienza seguita alle elezioni del 1998,
quando mi candidai sindaco per la coalizione di centro-sinistra e
persi al ballottaggio con 800 voti di scarto. Negli anni successivi
non partecipai ai “lavori” dell'aula. Oggi non rifarei queste
scelte e ho pubblicamente chiesto scusa per questa assenza. Il
problema non è sbagliare, chi non lo fa, ma riconoscere i propri
errori è fondamentale se si vuole rimanere credibili. Si tratta di
una riflessione che ho condiviso in pubblico molte volte e anche in
più di una intervista.
Voglio
però in questa sede fornire una spiegazione a quanto accadde allora,
perché davvero non posso accettare che qualcuno usi questo tema oggi
per scopi puramente elettorali. E voglio dirlo con chiarezza: la
sconfitta di allora e la consiliatura che seguì ebbero in comune un
insopportabile compromesso tra le forze politiche, un accordo
sottobanco, un continuo patteggiamento, uno scambio indecente e
nascosto.
Più
di uno tra coloro che furono eletti nelle file del centrosinistra
cambiò casacca, due addirittura nel corso del primo consiglio
comunale. Una persona eletta allora con il partito popolare che
ancora oggi siede in consiglio comunale e un'altra eletta allora con
i democratici di sinistra che oggi fa l'assessore nella giunta di
Bruschini. Insomma, il trasformismo regnò sovrano fin dalle prime
battute avvicinando l'aula comunale più ad un mercato del baratto
che al luogo istituzionale che rappresenta il popolo anziate.
Io
non mi conformai al modello, non volli cedere al compromesso e per
questo fui subito isolato: nonostante fossi stato candidato sindaco
mi fu impedito di fare il capogruppo di coalizione lasciando che
rimanessi unico componente di un gruppo misto. Il consociativismo era
al sicuro se io venivo messo nella condizione di non nuocere. In
pratica mi ritrovai a fare opposizione 1 contro 29.
Avrei
dovuto denunciare la situazione, è vero, e questo è stato il più
grande errore che ho commesso: all'epoca mi sembrò comunque doveroso
per uno che era stato candidato sindaco non sbugiardare la coalizione
che lo aveva sostenuto. Un eccesso di riguardo che oggi davvero non
replicherei.
In
consiglio comunale l'aria si era fatta viziata, irrespirabile. I
tradimenti consumati ai danni della coalizione e del candidato
sindaco mi indussero in un profondo stato di delusione. Mi convinsi
allora che era meglio tornare al mio lavoro e dare in questo modo il
mio contributo al benessere di Anzio.
Con
il senno di oggi dico che ho fatto alcuni errori, da cui ho tratto
però importanti insegnamenti e una consapevolezza profonda dei
problemi veri che portano questa città a rimanere immobile. Il
blocco è determinato da una classe politica buona a nulla ma capace
di tutto. È proprio per non lasciare che questo stato di cose
continui che ho deciso di rimettermi al servizio di Anzio con un
progetto civico però, cioè fuori dalle logiche spartitorie che sono
la vera causa dello stato attuale di prostrazione.
Credo
fortemente nel fatto che oggi, ora, sia il momento buono per cambiare
le cose, per restituire ad Anzio la sua libertà, la dimensione della
proposta, del futuro, del progetto. Di un sogno concreto che si possa
costruire attivamente.
Una
Anzio di nuovo libera di fare e di fare bene!
Giovanni Garzia
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