mercoledì 24 aprile 2013

Il baratto, antico male della politica anziate


In questi giorni straordinari di campagna e di mobilitazione mi sono arrivati molti complimenti per l'avventura cui abbiamo dato inizio, parole di stima che ho molto apprezzato. Ho ricevuto però anche delle critiche, spesso costruttive, alle quali voglio rispondere per fare chiarezza su alcune cose che ritengo importanti. In particolare, qualcuno mi ha ricordato l'esperienza seguita alle elezioni del 1998, quando mi candidai sindaco per la coalizione di centro-sinistra e persi al ballottaggio con 800 voti di scarto. Negli anni successivi non partecipai ai “lavori” dell'aula. Oggi non rifarei queste scelte e ho pubblicamente chiesto scusa per questa assenza. Il problema non è sbagliare, chi non lo fa, ma riconoscere i propri errori è fondamentale se si vuole rimanere credibili. Si tratta di una riflessione che ho condiviso in pubblico molte volte e anche in più di una intervista.

Voglio però in questa sede fornire una spiegazione a quanto accadde allora, perché davvero non posso accettare che qualcuno usi questo tema oggi per scopi puramente elettorali. E voglio dirlo con chiarezza: la sconfitta di allora e la consiliatura che seguì ebbero in comune un insopportabile compromesso tra le forze politiche, un accordo sottobanco, un continuo patteggiamento, uno scambio indecente e nascosto.
Più di uno tra coloro che furono eletti nelle file del centrosinistra cambiò casacca, due addirittura nel corso del primo consiglio comunale. Una persona eletta allora con il partito popolare che ancora oggi siede in consiglio comunale e un'altra eletta allora con i democratici di sinistra che oggi fa l'assessore nella giunta di Bruschini. Insomma, il trasformismo regnò sovrano fin dalle prime battute avvicinando l'aula comunale più ad un mercato del baratto che al luogo istituzionale che rappresenta il popolo anziate.
Io non mi conformai al modello, non volli cedere al compromesso e per questo fui subito isolato: nonostante fossi stato candidato sindaco mi fu impedito di fare il capogruppo di coalizione lasciando che rimanessi unico componente di un gruppo misto. Il consociativismo era al sicuro se io venivo messo nella condizione di non nuocere. In pratica mi ritrovai a fare opposizione 1 contro 29.

Avrei dovuto denunciare la situazione, è vero, e questo è stato il più grande errore che ho commesso: all'epoca mi sembrò comunque doveroso per uno che era stato candidato sindaco non sbugiardare la coalizione che lo aveva sostenuto. Un eccesso di riguardo che oggi davvero non replicherei.

In consiglio comunale l'aria si era fatta viziata, irrespirabile. I tradimenti consumati ai danni della coalizione e del candidato sindaco mi indussero in un profondo stato di delusione. Mi convinsi allora che era meglio tornare al mio lavoro e dare in questo modo il mio contributo al benessere di Anzio.

Con il senno di oggi dico che ho fatto alcuni errori, da cui ho tratto però importanti insegnamenti e una consapevolezza profonda dei problemi veri che portano questa città a rimanere immobile. Il blocco è determinato da una classe politica buona a nulla ma capace di tutto. È proprio per non lasciare che questo stato di cose continui che ho deciso di rimettermi al servizio di Anzio con un progetto civico però, cioè fuori dalle logiche spartitorie che sono la vera causa dello stato attuale di prostrazione.

Credo fortemente nel fatto che oggi, ora, sia il momento buono per cambiare le cose, per restituire ad Anzio la sua libertà, la dimensione della proposta, del futuro, del progetto. Di un sogno concreto che si possa costruire attivamente.

Una Anzio di nuovo libera di fare e di fare bene! 



Giovanni Garzia

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